28 febbraio, 2006

LE ORIGINI DEL NOSTRO CAMMINARE - seconda parte


Per fortuna qualche volta qualcuno si aggregava ……. rare erano infatti le occasioni di condividere i percorsi che la Silvia via via mi proponeva. Gli amici puntualmente dopo aver provato una o massimo due volte declinavano gli inviti successivi con molteplici ed mirabolanti scuse.

Però, pian piano qualcosa incominciava ad entrarmi in testa ….. quella indifferenza e fastidio che provavo ogni volta che mi mettevo gli scarponi, cominciava a far posto ad un distratto e sottile piacere. Le cose che anche a distanza di lungo tempo l’una da l’altra mi sorprendevano di più erano i segni delle stagioni, i colori mutanti della natura e la familiarità che i luoghi cominciavano ad assumere, quel sottile riconoscimento che proviene dalla conoscenza dei sentieri, da un posto magari visitato tempo prima, con un altro che stavo scoprendo in quel momento. Nel lento procedere dei nostri trekking si trovavano vecchie torri o pievi abbandonate, Silvia mi raccontava molte cose dei posti che visitavamo, e personaggi Appenninici come Etruschi, Liguri e antichi Romani, Longobardi cominciavano a prendere forma ed echeggiare nella mia mente e nel fitto del bosco….mi immaginavo confini da difendere, battaglie, scaramucce, imboscate e rumori d’ armi, suoni di tromba e trame nebbiose di tempi che furono.

Come dicevo, anche qualche amico o collega di lavoro si aggregava alle nostre “spedizioni”, io e Silvia ci tenevamo, come oggi in fondo, a condividere e far apprezzare quei luoghi ad altri, magari già visitati poco tempo prima, per noi questo è importante ancora adesso. Spesso ci chiedevamo come molte persone non apprezzassero quel genere di attività: i passi e il lento procedere alla scoperta di paesaggi poco noti, con forme vagamente “esotiche” cioè che, non ti aspetteresti a quaranta cinquanta chilometri da casa.
fine seconda parte....

22 febbraio, 2006

Etruschi: un trekking per antiche rovine tra “vita e morte”

E’ mistero, quello che si percepisce sentendo parlare anche semplicemente del popolo degli Etruschi. Quando poi si visitano le Vie Cave qualcosa di più concreto ci avvolge inondando le menti di congetture e domande spesso senza risposta.
Etruschi e trekking non hanno molto in comune a prima vista; però una attenta sensibilità rivela quanto questo popolo cultore della terra, quella stessa terra divisa tra bassa Toscana, alto Lazio e Umbria occidentale, abbia avuto intrinseco il culto della natura, la divinazione della Madre Terra, l’arte che ne deriva, dove le Vie Cave sono il legame stesso di quel magnetismo terrestre che conduce alla conoscenza, un nodo spirituale tra la nascita, la vita e la morte. Sono poi i borghi fortificati di Pitigliano e Sorano con le chiese romaniche e le necropoli etrusche di Sovana a rendere questa parte di Maremma luogo sospeso nel tempo oltre che particolare e misterioso, nulla certamente ha da invidiare a luoghi più famosi come Stonehenge o le piramidi in Egitto.
Una miriade di collegamenti, una ragnatela di solchi profondi scavati nel tufo, vie provenienti direttamente da un’insondabile passato, ricoperte di vegetazione spesso nascoste completamente nella terra.
Il perché esatto, gli Etruschi abbiano lavorato per ottenere Vie così imponenti lunghe e profonde, si spiega quindi nella sacralità e nella ricerca del più profondo senso dell’esistenza. Così ancora oggi queste Strade Sacre collegano resti di antichi villaggi e necropoli, le dimore dei vivi a quelle dei morti.
Un itinerario culturale realizzabile nei pressi di Sovana, dove sono almeno sei le necropoli scavate nel tufo, tra le più importanti: la tomba di Ildebranda a poggio Felceto, la tomba del Tifone a poggio Stanziale, Grotta Pola a poggio Prisca e con tanti altri sepolcreti rupestri.
Queste testimonianze da noi concretamente ereditate, a ragione di una civiltà complementare alla nostra, oggi più che mai fondamentale a quella cultura europea le cui radici sarebbero semplicemente ramificate in una miriade di popolazioni Celtiche con usi e costumi più elementari, del “passa parola” e dei “tumuli”; una Europa senza la civiltà degli Etruschi sarebbe dunque stata estremamente più povera ed anacronisticamente più omogenea.

19 febbraio, 2006

...il trekking fatto con la mente e con i piedi.

Molteplici le voci che attribuiscono la derivazione del significato della parola “trek” alle carovane turche o alle popolazioni del sud Africa o ai coloni Olandesi in fuga.
Certamente quale e che sia il popolo che ha usato per primo questa espressione, gli Inglesi “ to trek ” l’ hanno identificata e adattata al significato del muoversi da un luogo ad un altro. Oggi, il termine trekking ha certamente un significato diverso, mutato in un modo straordinariamente positivo e vivace, una attività che è comunque rimasta paradossalmente pionieristica; infatti, definire il trekking uno sport è banale ed è un grossolano errore, soprattutto perché esso non ammette competizioni e/o grandi qualità fisiche.
Al contrario il trekking è pura passione, è attività lenta e contemplativa che evolve in un punto fermo, cioè nella ricerca dinamica di se stessi, della natura, alla scoperta o meglio alla ri-scoperta dell’anima e all’ arricchimento dello spirito e di ciò che materialmente lo circonda e lo completa, quindi ambiente e persone che con noi ci accompagnano in questo cammino.
Percorrendo sentieri silenziosi più o meno ardui, si forma il momento: un “attimo” lungo un giorno dedicato al pensiero e alla meditazione; il tempo stesso viene trasformato in altro, riducendo la sua velocità e consistenza.
Quindi la riscoperta della sola azione semplice del camminare, si rivela un gesto naturale e finalmente a misura d’ uomo, quest’ultima caratteristica è essenziale per il benessere psico-fisico.
Riassumendo, il trekking apre le braccia a tutti, indistintamente: non ha pregiudizi d’alcun genere, poiché propone diversi stadi di difficoltà liberamente fruibili e personalizzabili.
Il trekking racchiude in se una grande palestra sul territorio, una tela sul quale dipingere ed ammirare le immagini di natura e la storia umana che si preferisce, è una terapia che permette di riacquisire in noi sensazioni e percezioni salutari al fisico ed alla mente.
Chi del trekking ha fatto il suo stile di vita, è consapevole che desidera riavvicinarsi alla natura e ai suoi elementi ed ovviamente solo lui sa e sente quello che lo fa stare bene nei momenti di libertà.

14 febbraio, 2006

LE ORIGINI DEL NOSTRO CAMMINARE - prima parte






Era il lontano 1989, quando Isabel una ragazza di New York, all’epoca unita ad un più statico siciliano di nome Salvatore, ci invitarono ad una “passeggiata” sul Monte Morello…….incredibile lei appassionata di trekking, diceva che molte zone della Toscana erano simili al Canada dove aveva vissuto un breve periodo.
Io e Silvia, all’epoca del già citato invito, non avevamo la benché minima idea di quello a cui saremmo andati incontro….credevamo che fosse una passeggiata normale con in più un semplice pic-nic finale allegato; anche il nostro abbigliamento non era proprio il più adatto, io avevo un pesante cappotto bianco e scarpe da ginnastica e Silvia ai piedi enormi anfibi neri. Certo non fu un trekking di otto ore e mille metri di dislivello, ma certamente per noi e soprattutto per me, fu una botta di fatica tremenda. Silvia si fece completamente abbindolare dai sentieri e da Isabel e fini molto presto per riempire i suoi scaffali di guide trekking e cartine 1:25.000, scarponi e zaino. La giornata continuo tra imprecazioni del sottoscritto, ed idee per nuove avventure escursionistiche da parte di Silvia, lei aveva trovato così un modo nuovo per torturarmi in estenuanti trekking chilometrici negli anni che sarebbero trascorsi.

Ci furono altre uscite, una che segnò completamente all’epoca l’imminente tragico destino, fu un’escursione con Isabel e il suo compagno nella zona della Calvana che legò completamente nella mente di Silvia la passione per il trekking e del camminare lungo sentieri. Io d’altro canto, in quel periodo, ero portato molto più che adesso ad accontentarla, ero molto giovane e innamorato……accidenti……le levatacce mattiniere si sprecavano e gli unici momenti liberi erano in qualche bivio mal segnato in qualche sperduto anfratto boschivo dell’Appennino toscano, con in più l’immancabile tremenda angoscia di perdermi ad ogni passo.
Isabel e Salvatore presto si separarono e si persero i contatti con loro, e francamente non sappiamo che fine abbiano fatto, e non avemmo più guide “spirituali”, restammo soli. Silvia con un’immensa montagna di idee di nuovi percosi trekking da fare e io a cercare una montagna di scuse per evitarli.
Soli, camminavamo sempre in piena solitudine, ed è questo che più oggi mi salta alla memoria, forse anche la nostra età, io nel 1990 avevo ventuno anni e figuriamoci se i miei amici e coetanei volevano condividere i loro momenti liberi e di svago in sentieri montani chilometrici e dislivelli estenuanti, magari il tutto condito da levatacce mattutine…. manco per idea! Dunque all’inizio almeno per i primi cinque sei anni, non ho amato per niente il trekking, mi pesava e spesso camminare lo consideravo snervante e inutile….fatica senza senso.
fine prima parte....