14 aprile, 2006

Il primo pernottamento all’aperto - quarta e ultima parte

Il furioso scalciare e il continuo frusciare sulla tenda vicina, con rantolii e fauci digrignati, raspamenti e tenui strillii, si scagliò su di noi …….gelo: “aiuto!!! aiuto!!!aiut!!”, sentii immediatamente parole frenetiche glassate di paura: “aprite!!!! Aprite! Apriiiiiiiiiiiiiii!!! Era mio cugino Marco che dalla sua tenda accanto, dove avrebbe dovuto riposare da solo, schizzò letteralmente tra me e la Silvia nel nostro riparo; restammo tutti e tre irrigiditi e atterriti, con basse parole qualcuno disse: “sarà un cinghiale, magari ha sentito odore di mangiare!” Intanto gli altri tre amici, dall’altra tenda, lanciavano sommessi e tenui brusii di chi non vuol farsi sentire dal “killer” in agguato.
Dopo circa un quarto d’ora i rantolii e gli ululati cessarono. Ricominciammo a muoverci lentamente all’interno delle tende, ma parlavamo sempre sotto voce. Prendemmo torce e coraggio, tutti e sei uscimmo lentamente come ladri braccati dai sottili rifugi.
La tenue luce delle torce rivelò subito il dramma consumato, incredibilmente quello che pareva nelle nostre fantasie un cinghiale imbestialito, davanti ai nostri occhi si rivelò solo un piccolo capriolo morto e mezzo squartato che probabilmente allontanatosi dalla madre, ci aveva rimesso la vita. Il colpevole ansimante e ancora eccitato per la caccia, sopra la sua vittima.
Il caro compagno di quella avventura, cane pastore tedesco con la testa di lupo italiano, aveva ora il muso mezzo insanguinato e la piccola e tenera creatura esanime, tra le sue zampe: sbranata.
Fu proprio una terribile, lunga notte, e tantissimi i discorsi e commenti, soprattutto la mattina dopo, con il sole già alto e le paure della notte ormai dissipate. Raggiungemmo così la nostra meta: la Cascata dell’Acqua Cheta.
fine quarta e ultima parte....

03 aprile, 2006

Il primo pernottamento all’aperto - terza parte


Nasceva però l’esigenza di vivere un po’ più a fondo l’avventura, infatti fino al quel momento le nostre escursioni si limitavano all’arco di una giornata o massimo due percorsi in giorni diversi.
Così cominciammo a sognare e di conseguenza a programmare itinerari che durassero appunto, più di un giorno.
Decidemmo per l’Acqua Cheta. Proprio in questa occasione aprimmo le tende per la prima volta, eravamo in sei ragazzi, che sicuramente avevano l’intenzione di dormire la notte in un bosco, ma mai avrebbero immaginato quello che li aspettava di lì a breve e credetemi, non furono proprio sogni d’oro. Eravamo partiti da Firenze, in un pomeriggio di sabato di inizio giugno del 1996, direzione San Godenzo. Lasciate le auto, cominciammo a camminare in salita verso la Colla della Maestà, il pomeriggio era soleggiato e caldo, fatica e sudore non tardarono ad arrivare. Alla nostra comitiva si era nel frattempo aggregato anche un cane pastore tedesco con la testa di lupo italiano, che si mostrò subito molto affabile e affettuoso. Superato il crinale, chiamato Colla della Maestà, scendemmo pian piano per una strada bianca, una vecchia carrareccia che porta dopo qualche chilometro al famoso torrente chiamato Acqua Cheta; ma non vi arrivammo quel giorno, si decise appunto di pernottare e ci fermammo sopra un piccolo altopiano ricco di erba alta, dove si poteva godere di un bel panorama appenninico; piazzammo tre tende e in breve mangiammo la nostra fugace cena. Tra parole e risa, ci calammo più comodamente possibile all’interno dei nostri rifugi di tela.

La notte incalzò e all’esterno era ormai buio completo, pian piano l’aria andava riempiendosi in modo crescente di suoni e rumori sconosciuti sempre più intensi nella notte, vibrazioni che certamente ci stavano trasmettendo ansia e mistero.
I rumori in un bosco la notte, quando la luna che illumina le tenebre non c’è, provocano dentro di noi meccanismi ansiogeni; l’ignoto è palpabile perché la vista, il senso per tutti gli uomini più immediato e necessario, è inutile. Vedere fuori dagli abitacoli era praticamente impossibile, facevamo silenzio, ma mentre l’udito si faceva sempre più acuto, i rumori si amplificavano e la paura e il mistero nelle nostre menti prendeva il sopravvento, i cigolii degli alberi spettrali mossi dal vento e gli occhi che non penetrano che il nero della notte, fecero il resto.
Una crescente angoscia e una scossa elettrizzante di paura inaspettata probabilmente in tutto il gruppo di sprovveduti che si chiedevano certamente quello che per me e per la Silvia divenne in quel palese momento certezza, non essere lì, di aver commesso un grave errore che poteva infine anche risultare fatale…..terrore. Quando ad un certo punto, ahimé, il dramma avvenne!
fine terza parte....